Nel corso del 2021, anche e soprattutto a seguito della pandemia di Covid-19 che ha investito il pianeta, in Italia per circa 5.6 milioni di persone (bilancio Istat 2021) non è stato possibile frequentare ristoranti, cinema, palestre e teatri. A questi cittadini non è stato riconosciuto neanche il diritto al lavoro, sul quale la Repubblica Italiana è fondata, e il più delle volte non è stato loro concesso di accedere alle università del paese. Ma a cosa può essere dovuta una così palese e inammissibile discriminazione? A quale fenomeno è imputabile una simile ingiustizia? È forse il terribile Green pass la causa di tutto questo?
No. Il certificato verde non c’entra, i dati sconvolgenti appena esaminati sono quelli relativi alla povertà assoluta in Italia dopo la prima metà del 2021. Quasi 6 milioni di italiani, un uomo o una donna su dieci, vive con un reddito inferiore ai 780 euro mensili, cifra indicata come “soglia di povertà” dall’Istat. Per una persona italiana su dieci il dubbio sulla possibilità di mantenere i propri figli o figlie (per chi può permettersi di averne) è all’ordine del giorno. Per una persona italiana su dieci è impossibile acquistare integratori alimentari in farmacia, frequentare l’università, iscriversi in palestra. Per una persona italiana su dieci sedere al bar con un amico è un lusso da concedersi raramente se non mai. Una su dieci non sa di essere positiva al Covid-19 perché non può permettersi un tampone.
Infinito sarebbe l’elenco di ciò che a milioni di uomini, donne e bambini non è concesso nel civile e democratico Bel Paese. Dal 2020, anno di inizio della pandemia, il tasso di disoccupazione in Italia ha toccato il 10,2% per poi migliorare di qualche punto percentuale fino a dicembre 2021. Nel corso del primo anno di pandemia il numero di occupati si è ridotto di 945mila unità, la maggior parte delle quali (a confermare tra l’altro l’esistenza di enormi disparità di genere sul posto di lavoro) erano donne. Di particolare rilievo è anche il dato relativo ai super ricchi: il giornale “Forbes” segnala infatti la presenza di 49 miliardari in Italia, le cui fortune hanno un valore complessivo di circa 211 miliardi di dollari.
In un paese in cui un uomo su dieci non può permettersi neanche una casa propria e in cui il patrimonio medio accumulato in una vita neanche si avvicina ai due milioni di euro, poche decine di individui detengono capitali che li renderebbero in grado di finanziare in tutto e per tutto la ripresa economica del paese, mantenendo comunque un altissimo tenore di vita.
A due anni dall’inizio di una pandemia in cui il motto di chi lottava per sopravvivere era “ne usciremo migliori” le uniche cose ad essere migliorate sono il patrimonio di cinquanta uomini e donne senza scrupoli e la possibilità di fare il classico ricorso alla retorica del merito individuale per giustificare le colossali disuguaglianze sociali che dilaniano il paese.
Dopotutto, se cinquanta persone sono tanto ricche da possedere quanto un uomo comune guadagna in centomila vite è di sicuro perché se lo meritano, no? Se, in Italia, il 9.4% vive sotto la soglia di povertà a seguito di una pandemia globale è di sicuro perché mancano di spirito di iniziativa. È così giusto? Giusto. O forse non lo è, forse quella del merito è solo l’ennesima favola che amiamo raccontare per giustificare la struttura economica e sociale di un sistema che, se non distruggerà prima il pianeta, sarà la causa della distruzione di tutti coloro che lo abitano.
All’inizio del 2022, al centro della potente ed evoluta civiltà dell’Occidente, nell’avanzata e democratica Europa, dove gli uomini più potenti del mondo ormai da anni promettono l’abolizione della povertà e delle disuguaglianze, milioni di uomini e donne devono pensare a sopravvivere e non a vivere. Non succede su un pianeta lontano, non succede nel tanto barbaro Terzo mondo che amiamo guardare con pietà per lavarci la coscienza e poter tornare subito dopo alle nostre vite, non succede neanche dall’altra parte del paese, a molti chilometri da dove si trova chi sta leggendo questo articolo. Accade attorno a noi, nei palazzi in cui si vive, nel quartiere in cui si lavora. L’Italia vive avviluppata in questa melma che la intrappola e la divora e, intanto, poche decine di persone ridono e godono del loro potere.
Appare chiaro che non “ne usciremo migliori”, ma forse non è troppo tardi per una presa di coscienza che porti verso quella che oggi è l’utopia di una società senza disuguaglianze. Finché questa resterà utopia, sia per l’Italia che per il mondo, sperare in un futuro migliore è solo credere alle favole e nessuna battaglia sociale potrà mai essere vinta.
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