Il 2 dicembre 2010, a Zurigo, la Fifa si è riunita per decretare la nazione ospitante del Mondiale 2022. Con 12 anni di preavviso, la scelta è ricaduta sul Qatar, il primo paese di questa zona ad ospitare un Mondiale.

Non soltanto ottenere tale possibilità è un onore per ogni nazione, ma esso garantisce anche affluenza turistica e pubblicità per le città ospitanti.

La selezione della penisola araba ha provocato tanto trambusto nel panorama calcistico. Basti pensare che dal 1930 ad oggi mai una nazione così piccola è riuscita a vincere la candidatura, anche a causa di contendenti come USA, Corea del Sud, Giappone e Australia, che sicuramente praticano più il calcio rispetto al Qatar.

I nomi più probabilmente interessati nell’elezione del Qatar, sono Mohamed Bin Hammam e Michel Platini ovvero, rispettivamente, i dirigenti, tra il 2002 e il 2012, dell’AFC (Asian Football Confederation) e della UEFA, che, in seguito ad un’indagine della FIFA, proprio su questa faccenda, ha portato al loro arresto e eliminazione dalla Fifa. Il Qatar, però, non ha subito alcuna conseguenza, ed ha potuto continuare l’organizzazione.

Un’altra pagina nera che avvolge il Mondiale in Qatar è quella delle infrastrutture: ogni Nazione ospitante è obbligata ad avere un numero elevato di stadi con alta efficienza sul suolo nazionale e, nel momento in cui manca questo requisito, entra in gioco la ristrutturazione o costruzione di nuovi stadi (pensiamo ad esempio al San Nicola di Bari, stadio costruito per il Mondiale italiano del 1990 che oggi è la casa del Bari, squadra militante in Serie C).  

Ebbene, in Qatar, su otto stadi scelti, cinque sono stati inaugurati nel 2021, due non sono in funzione da anni e, addirittura, uno sarà smantellato subito dopo la competizione. Ciò, oltre a portare uno spreco di materiali enorme, provoca ai dipendenti qatarioti ore e ore di lavoro sottopagato. Infatti la FIFA ha aperto un fascicolo che, però, non ha portato riscontri effettivi, lasciando libera strada agli sfruttamenti che hanno portato al decesso totale di almeno 50 lavoratori e a 37.600 feriti, gravi e non.

Infine, vi è la questione omofobica: il 27 ottobre scorso Joshua Cavallo,  primo calciatore ad aver fatto coming out pubblicamente,  parlando di Qatar 2022 ha detto: «Avrei paura di giocare in quella terra, se fossi convocato per Qatar 2022 non credo andrei».

In seguito l’ufficio stampa qatariota ha affermato che gli omosessuali sarebbero stati accettati a patto di non avere manifestazioni di affetto esplicite al pubblico, affermazione gravissima ai danni della comunità LGBTQ+ che non si è ancora accinta a manifestare, probabilmente per empatia della nazione mediorientale che ha fatto un grande passo avanti per i diritti umanitari degli omosessuali.

Certo è che tutte queste vicende passeranno in secondo piano, lasciando spazio al grande spettacolo del Mondiale che si svolgerà, eccezionalmente, nel periodo Natalizio per via del caldo estivo eccessivo nell’area qatariota.

Dario Valentini
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